12 dicembre: sciopero generale contro una manovra che ignora il lavoro e i diritti

Una giornata che non è solo un blocco

Il 12 dicembre si presenta come una giornata diversa dalle altre: non una sommatoria di scioperi sparsi, ma una mobilitazione che vuole misurare il grado di insofferenza sociale verso scelte economiche percepite come lontane dai bisogni concreti. Non si canta uno slogan e si torna a casa; si tenta di mettere in luce fratture che vanno oltre posizioni sindacali tradizionali, coinvolgendo famiglie, pendolari, insegnanti, operatori sanitari, piccole imprese e giovani che chiedono prospettive.

La forma della protesta segue quella di sempre blocchi, presidi, assemblee ma il suo tono è meno rituale e più urgente. Dietro gli striscioni ci sono storie quotidiane: un infermiere che fatica a coprire i turni, un docente con classi numerose, una coppia con due lavori precari che vede erodersi il potere d’acquisto. Sono frammenti che compongono una narrativa collettiva: non si contesta solo un articolo di legge, si chiede dignità per il lavoro e tutela dei servizi pubblici.

Perché si sciopera: salari, precarietà, dignità

Al centro della mobilitazione c’è una richiesta semplice e, al tempo stesso, radicale: che il lavoro torni a essere misura di sicurezza economica e riconoscimento sociale. Le lamentele più ricorrenti riguardano salari bloccati da anni rispetto al costo della vita e alla crescita dei prezzi; la sensazione diffusa è di un reddito che perde valore e potere d’acquisto.

Accanto alla questione salariale emerge la parola “precarietà” in tutte le sue sfumature: contratti a termine ripetuti, partite IVA soggette a oscillazioni di mercato, lavori “ibridi” che non danno tutele né prospettive. Per molte persone il problema non è solo economico, è esistenziale: pianificare una casa, una famiglia, o una carriera diventa impossibile quando ogni anno la propria posizione lavorativa è messa in discussione.

Lo sciopero del 12 dicembre vuole smuovere questa inerzia: pretende che le politiche pubbliche non si limitino a interventi tampone ma immaginino percorsi di stabilizzazione, rafforzamento della contrattazione e strumenti che colleghino formazione e lavoro reale.

Servizi pubblici sotto pressione: sanità e scuola

I nodi della manifestazione toccano in modo particolare la sanità e la scuola, due istituti che, dice la protesta, riflettono lo stato di salute della società.

La sanità pubblica è vista come troppo spesso ridotta a gestione emergenziale: ospedali con personale ridotto, difficoltà nel reclutamento, pressioni sulle strutture territoriali. Per chi manifesta, investire nella salute non è una spesa opzionale ma una garanzia di resilienza collettiva; tagliare significa indebolire il sistema e creare disuguaglianze tra territori.

La scuola è segnalata come un luogo dove investimenti scarsi e condizioni logistiche inadeguate si traducono in qualità dell’insegnamento compromessa. Qui la protesta non invoca solo aumenti retributivi, ma richieste pratiche: più tempo scuola, meno alunni per aula, aggiornamento professionale continuo, e attenzione alla manutenzione degli edifici.

Fisco e redistribuzione: la percezione di ingiustizia

Una parte consistente della protesta si radica nella percezione che il sistema fiscale non redistribuisca in modo equo. Non è una battaglia astratta su aliquote e scaglioni: è la sensazione che chi ha meno si ritrovi a pagare il peso maggiore, mentre rendite e posizioni più protette restano inalterate.

La mobilitazione chiede quindi interventi che rendano il fisco uno strumento per ridurre le disuguaglianze: contrasto reale all’evasione, riforme che favoriscano chi lavora e vive di salario, incentivi per investimenti pubblici nel welfare. Per molti partecipanti lo sciopero è il momento in cui mettere sul tavolo la richiesta di una società più bilanciata, dove il principio di responsabilità collettiva abbia peso concreto.

Giovani e donne: le fasce più vulnerabili

Due categorie emergono con forza nei discorsi e nelle assemblee: i giovani e le donne. I primi si trovano a navigare in un mercato del lavoro segmentato, con lavori temporanei e precarietà che ostacolano qualsiasi progettualità a medio termine. La richiesta dei giovani è di politiche che producano sbocchi reali, non soluzioni spot: formazione legata al mercato reale, incentivi alla creazione di posti stabili, sostegno all’abitare.

Le donne, invece, denunciano una doppia penalizzazione: retribuzioni spesso inferiori e responsabilità di cura non adeguatamente supportate da servizi pubblici. Le misure richieste includono investimenti nei servizi per l’infanzia e politiche che favoriscano la conciliazione tra lavoro e vita privata, perché senza queste condizioni la parità resta un obiettivo lontano.

Trasversalità e composizione della protesta

La forza della giornata sta nella sua mescolanza: non è una protesta di categoria ma una sommatoria di istanze che si incontrano. L’ampiezza delle adesioni deriva proprio da questa capacità di aggregare temi diversi sotto un stesso orizzonte: lavoro, welfare, fisco, diritti.

Le piazze non saranno solo luoghi di rivendicazione, ma di confronto: incontri pubblici, tavoli tematici, assemblee cittadine per discutere proposte concrete. Per molti partecipanti lo sciopero è l’occasione per costruire piattaforme di proposta che possano dialogare con le istituzioni in modo strutturato.

Significato politico e sociale

Oltre alle singole rivendicazioni, il 12 dicembre vuole essere un segnale politico: richiede attenzione e responsabilità da parte di chi governa. Scioperare è qui inteso come un atto di cittadinanza attiva, non un gesto di rottura fine a se stesso. È una chiamata alla responsabilità collettiva, alla necessità di mettere il lavoro e i servizi al centro delle scelte pubbliche.

La posta in gioco è la qualità della convivenza: se il lavoro perde dignità, ne risente la coesione sociale. Per questo la protesta non è solo economica, ma etica: si chiede che la politica riconosca il valore del lavoro come fondamento di una democrazia viva.

Verso il dopo sciopero

Il successo della giornata non sarà misurato solo dalle piazze piene, ma dalla capacità di trasformare l’indignazione in proposte percorribili. Serve che le istanze raccolte trovino canali istituzionali di ascolto e che la società civile si organizzi per sostenere progetti concreti: contratti che stabilizzino, investimenti pubblici mirati, una riforma fiscale che recuperi equità.

FAQ 1 — Qual è l’obiettivo principale dello sciopero del 12 dicembre?

L’obiettivo principale è mettere in evidenza le criticità percepite nella legge di bilancio 2026, chiedendo interventi concreti su salari, stabilità del lavoro e rafforzamento dei servizi pubblici; la mobilitazione vuole trasformare il disagio diffuso in proposte politiche e sociali concrete.

FAQ 2 — Quali settori e categorie sono maggiormente coinvolti e perché?

Sono coinvolti trasporti, sanità, scuola, amministrazioni pubbliche, settori privati con contratti precari, oltre a studenti, pensionati e famiglie; particolare attenzione è rivolta a giovani e donne, ritenute le fasce più esposte alla precarietà, al calo del potere d’acquisto e alla mancanza di servizi di conciliazione.

FAQ 3 — Che esiti si aspettano gli organizzatori e come si misura il successo dello sciopero?

Gli organizzatori cercano ascolto istituzionale e misure strutturali: stabilizzazione dei contratti, adeguamento salariale, investimenti in sanità e istruzione, riforme fiscali redistributive; il successo sarà valutato non solo dall’ampiezza della partecipazione in piazza ma dalla capacità di convertire la mobilitazione in canali di dialogo concreti e risultati politici.

Il 12 dicembre non è la conclusione di una stagione, ma un punto di partenza. Le storie portate nelle strade reclamano risposte pratiche; la politica è chiamata a darle. Se questo avverrà, la giornata sarà ricordata non solo come uno stop, ma come l’inizio di una nuova attenzione verso il lavoro e il bene comune.